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“Riprendete coraggio, o voi tutti che sperate nel Signore”

Prima lettera pastorale di Mons. Giuseppe Fiorini Morosini vescovo di Locri-Gerace

Non dobbiamo scoraggiarci dinanzi al male che sembra essere sempre più forte del bene, ma andare avanti testimoniando la fede e annunciando il Vangelo”: E’ un’iniezione di ottimismo e di fiducia la prima lettera pastorale del vescovo di Locri-Gerace, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, che ha per tema la speranza. Ha utilizzato per titolo un versetto del Salmo 31, “Riprendete coraggio, o voi tutti che sperate nel Signore” e tutto il testo della lettera è un invito a guardare verso prospettive positive. “La speranza affidabile che il cristiano vive e che annuncia al mondo, non è altro che il bene ottenuto vincendo ogni forma di male” scrive il vescovo locrese che ha accompagnato la sua riflessione con numerosi documenti del Magistero della Chiesa, a partire dalla lettera enciclica di Benedetto XVI “Spe salvi”, e soprattutto con il documento dell’Episcopato Italiano “Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno” e gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del Vangelo”. Questa lettera pastorale, che arriva dopo due anni e mezzo di ministero episcopale a Locri, è strutturata in quattro parti oltre l’introduzione e si prefigge l’obiettivo, come ha spiegato il vescovo, di “consolidare la speranza nella Locride”. Monsignor Fiorini Morosini ha ricordato che “la speranza annunciata dalla Chiesa non è illusione, ma cammino lungo e difficile, della cui riuscita è garante il Cristo morto e risorto”. Di particolare rilevanza la richiesta di perdono “per la parte di responsabilità che la comunità cristiana ha nei confronti dei mali esistenti tra noi” e l’appello finale agli affiliati della ‘ndrangheta affinché ritornino sulla strada della legalità. A quest’ultimi ha detto: “Ritornate sui vostri passi in nome di quel Dio, nel quale dite di credere, e in nome della Vergine Maria, verso la quale ostentate devozione e affetto” sono le parole del vescovo, che ha aggiunto: “Restituiteci serenità e pace. Riconciliatevi tra voi, ricordando il sangue versato inutilmente negli anni passati, durante i quali si sono sviluppate faide sanguinose, che hanno distrutto famiglie e svuotato paesi”. Sono innumerevoli gli spunti offerti dalla lettera pastorale, che affronta il terreno della criminalità organizzata in ogni suo aspetto. “La Chiesa –scrive ancora il presule- forse unica istituzione, crede nel recupero di chi ha sbagliato e scommette su di lui attraverso la sua azione pastorale, e non ha paura di essere sola su questo fronte, ma va avanti con coraggio” Sul tema della misericordia monsignor Fiorini Morosini si sofferma ampiamente ed esplicitamente spiega: “Nel nostro territorio l’annuncio della speranza legata alla misericordia deve tener conto di due referenti particolari: le vittime della violenza e quanti la praticano. Ai primi esprimo solidarietà, agli altri rivolgo l’invito forte del Vangelo: convertitevi, perché c’è misericordia anche per voi”. La riflessione del presule si sviluppa affrontando il significato della speranza cristiana ed esaminando il cammino che la diocesi di Locri-Gerace sta compiendo per annunciare la speranza. Particolare importanza viene data all’impegno nel campo della formazione, mentre un capitolo viene dedicato alla condivisione della speranza con gli altri soggetti che operano nel territorio, innanzitutto con i comuni assieme ai quali occorre pensare “ad un progetto ad ampio respiro, con un particolare interesse verso i piccoli centri, che sembrano condannati a morire”. Monsignor Fiorini Morosini che lascia chiudere la lettera dalle parole del Salmo 46, ha voluto affidare a Maria la speranza di rinascita della Locride ed alla Madonna ha chiesto la protezione “affinché dinanzi a tutte le difficoltà che sentiamo, e di fronte a tutti i segnali di morte e di disperazione che ci sono sul nostro territorio, noi non cediamo alla tentazione della sfiducia, dell’abbattimento, della disperazione”.

Giovanni Lucà

http://www.calabriaecclesia2000.it/


Mongiana - Pazzano: insieme per l’Archeologia Industriale


Nella sala del consiglio comunale di Mongiana in provincia di Vibo Valentia, nei giorni scorsi, è stato sottoscritto uno “storico” protocollo d’intenti, considerato che il comune vibonese assieme a quello locrideo in passato, hanno rappresentato un polo industriale omogeneo e trainante per l’intera industria siderurgica meridionale. Ad introdurre i lavori, alla presenza di autorità civili e militari, tra cui l’on. assessore alla cultura della Regione Calabria prof Mario Caligiuri, gli onorevoli consiglieri regionali Grillo e Salerno, è stato il sindaco della città delle pre-serre calabre Rosamaria Elena Rullo, la quale, dopo i saluti di indirizzo, ha affermato che «con questo protocollo d’intenti diamo realmente avvio a una grande operazione che porterà alla creazione di una rete museale diffusa di archeologia industriale che costituirà una delle più interessanti risorse turistiche e culturali del comprensorio a cavallo tra le due province di Reggio Calabria e Vibo Valentia. La realizzazione del nostro progetto contribuirà alla piena rinascita dell'area che si avvia a diventare un polo integrato di attrazione turistica economica, e culturale». «Soddisfazione e gratitudine» sono state espresse dal sindaco di Pazzano, Franco Depace, il quale dopo aver fatto un excursus storico del grazioso borgo della vallata dello Stilaro, ha evidenziato «come tale territorio in passato e per oltre due millenni ha visto attivo nelle sue fiumare e nei monti un complesso e variegato apparato industriale imperniato principalmente sull’attività mineraria, sulla siderurgia e sulla metallurgia». All’evento di sabato registrato anche l’intervento del presidente della proloco di Pazzano, Renzo Campanella, chiamato insieme al suo “collega” della proloco Mongiana a essere parte integrante e attiva del progetto, il quale ha spiegato come questo primo passo di intenti, tra due realtà distanti territorialmente ma vicini nelle tradizioni e nella storia, «rappresenti un momento storico per entrambe le comunità in termini di sviluppo turistico e culturale». Rivolgendosi all’onorevole assessore Caligiuri, il presidente Campanella ha espresso, nonostante la sua appartenenza politica ad un schieramento opposto, grande voglia e necessità di una forte e sinergica collaborazione lavorativa nel campo della tutela del patrimonio calabrese. Secondo Danilo Franco, promotore del protocollo d’intenti e attento conoscitore di archeologia industriale, già presidente dell’Acai e ispettore onorario della soprintendenza archeologica della Calabria, prima di ogni cosa è necessario conoscere le proprie origini per avere una propria identità. Nel suo intervento Franco ha ricordato il ruolo primordiale ricoperto dall’area nel contesto dell’Unificazione d’Italia e la figura della Real casa di Borbone. A concludere i lavori è stato l’onorevole Mario Caligiuri, che, entusiasmando i presenti per la sua singolare cultura, ha dimostrato totale apprezzamento e chiara disponibilità nel portare avanti l’ambizioso progetto che vedrà, tra l’altro, la realizzazione di due musei uno a Mongiana, nell’antica fabbrica d’armi l’altro a Pazzano nella costruenda struttura di via delle miniere. Dopo la stesura del protocollo d’intenti gli intervenuti hanno visitato il celebre santuario mariano di Montestella e la città di Pazzano alla presenza anche di Luigi Sbarra (Cisl) e dei sindaci dell’intera valle dello Stilaro.


Elia Fiorenza

elia.fiorenza@libero.it

Una voce disse dall'alto. Guai ai vinti!... e le fiamme irruppero attorno alla Chiesa


di IVAN VACCARI - Scoperta un’inedita incisione autentica, dal titolo “Massacro dei partigiani di Campanella”, risalente all’anno 1862-63. La litografia, incisa da Giacomo Carelli (Piemonte 1812-1887), su acciaio, in ottimo stato, misure 29 x 19 a piena pagina, su carta pesante, con margini bianchi e con retro bianco, è opera del celebre artista friulano Antonio Masutti (1813-1892), considerato fra migliori disegnatori litografi della sua epoca. La pregiata e suggestiva litografia ritrae il frate, in chiesa, con abito domenicano e con la bandiera crociata in mano, attorniato dai suoi seguaci increduli e sgomenti per l’essere stati scoperti, con il viso solcato dalla paura, quasi intravedendo la sorte che di lì a poco sarebbe giunta. Il frate, infatti, addita ai suoi un soldato spagnolo che, dall’alto di un finestrone della Chiesa, indica, con il dito proteso verso il basso, i rivoltosi, dando via all’intervento dell’esercito per soffocare la cospirazione. Tommaso Campanella, frate Domenicano, fin dalla sua giovinezza assunse un atteggiamento di ribellione verso l’autorità costituita e verso i dogmi imposti a quel tempo. Si dedicò con fervore, e di nascosto, alla lettura di testi che contraddicevano e criticavano le convinzioni aristoteliche del tempo, lo scolasticismo conventuale, la corruzione della Chiesa. Fu affascinato dalla magia e dall’astrologia. Singolare e rispecchiante appieno il suo stato d’animo ed intimo convincimento, è un passo della poesia filosofica “Il Mondo”: Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia. Per le sue idee rivoluzionarie, dopo aver subito diversi processi per eresia, nel 1598 fu forzatamente costretto al rientro in Calabria, a Stilo, nel convento di Santa Maria del Gesù. Con tale obbligato rientro lo si voleva costringere, isolato, a sconfessare le proprie dottrine dichiarate eretiche. Il frate, però, non rimase tranquillo a meditare nel suo convento. In Calabria regnava il malcontento per la decadenza causata dal dominio degli Spagnoli, la popolazione era oppressa, viveva di stenti e completamente isolata a livello politico e culturale. La potenza Spagnola, in un primo momento, era stata vista dal frate quale speranza per l’auspicata costituzione di una comunità politica universale, che potesse risollevare le sorti del martoriato popolo Calabrese. In realtà gli Spagnoli, anziché frenare l’arbitrio baronale e feudale, aggiunsero, a questo, anche il loro. Campanella accusò gli Spagnoli di non governare con principi cristiani e di non essere la salvezza tanto sperata dalla gente Calabrese. Facendo leva sul fervore antispagnolo, credendo che la fine del mondo era prossima, così come predetto da Gioacchino da Fiore (altro frate calabrese, ca. 1130-1202), e confermato dalle proprie osservazioni astrologiche, si convinse che l’imminenza dell’arrivo del nuovo secolo fosse fatidica per il mutamento sperato. Era necessario ordire una cospirazione per abbattere il dominio spagnolo in Calabria ed instaurare la “Repubblica Calabrese”, quale società basata su una comunità politica unica, una religione unica e naturale (principi che ispireranno la stesura della “Città del Sole” - 1902). Pertanto, dai primi mesi del 1599, iniziò, in una chiesa di Stilo, a divulgare tali idee di ribellione, di riscatto sociale e culturale, di stravolgimento politico, in vista dell’obiettivo finale della nascita della Repubblica, la più perfetta, ideale e mirabile del mondo, guidata dal Santo Padre. Le sue parole ed il suo innato carisma oltrepassarono le soglie della città di Stilo, fino a ricevere l’appoggio oltre che di frati, anche di vescovi, banditi, nobili del luogo e finanche dei Turchi. Gli Spagnoli, grazie ad imprudenze e delazioni, scoprirono tale congiura ed inviarono, nella zona dei ribelli, il principe di Cariati, Carlo Spinelli, con il compito di soffocare, sul nascere, la rivolta contro gli Spagnoli. Il frate, nella sua corsa verso il sogno utopistico, condiviso da tanti, venne tradito ed arrestato con altri seguaci per poi essere tradotto a Napoli, nel mese di settembre 1599. Venne processato per le gravi accuse di eresia e ribellione al re cattolico Filippo III di Spagna. Dopo atroci torture, Campanella non confessò e, fingendosi pazzo, riuscì a salvarsi dalla condanna a morte, trasformata in quella di carcere perpetuo. Carcere che durò ben ventisette anni. Il suo decesso avvenne a Parigi, il 21 maggio 1639.

Pazzano: tutto pronto per la Festa di Maria SS.ma di Montestella

di Elia Fiorenza
Pazzano (RC) - Si avvicina la notte dell’Assunta celebrata nell’antico Eremo-Santuario di Montestella, in Pazzano. Tutto merito del lodevole e certosino lavoro del rettore don Enzo Chiodo tra l’altro direttore dell’ufficio diocesano per i Beni Culturali ecclesiastici che negli ultimi anni ha fatto “resuscitare” il sacro luogo di culto mariano. Un eremo incastonato nelle rocce calcaree del Monte Stella, ove una statua della Vergine bianchissima in marmo splendido, in atteggiamento di preghiera invita a guardare al cielo, raccogliendo le gioie e le ansie di tanti pellegrini e turisti che invadono il sacro monte soprattutto nel mese di agosto. E’ un luogo che invita alla ricerca di sé e di Dio. In un tempo come il nostro di dispersione, nasce il bisogno di scoprire la verità nel silenzio dell’eremo, come gli antichi monaci. In occasione della festa, quest’anno la direzione del Santuario, sotto la guida del rettore don Enzo Chiodo, ha organizzato una mostra d’arte sacra di icone sulla vita e sulla teologia di S. Paolo, opera della comunità monastica diocesana “Sorelle di Gesù”, che sarà inaugurata da Mons. Femia, vicario generale della Diocesi il 6 agosto alle ore 19. Giorno 11 agosto e giorno 23 alle ore 18.00, le eremite faranno due conversazioni culturali sulla vita di S. Paolo attualizzata ai giorni nostri. Due importanti appuntamenti con suor Rossana Leone che affronterà il tema “La vocazione di San Paolo attraverso il linguaggio dell’icona” e con suor Renata Bozzetto che relazionerà su “Teologia della Croce e spiritualità paolina attraverso il linguaggio dell’icona”. La notte del 14 agosto alle ore 23,00 Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, vescovo della diocesi di Locri Gerace, benedirà la Via Lucis che arricchirà il santuario di 14 nuove opere d’arte, che inviteranno il pellegrino ed il turista a ricuperare il bisogno di luce per affrontare la via crucis di ogni uomo.“L’Assunzione di Maria in anima e corpo - spiega il rettore don Enzo Chiodo - è il dono prezioso del Signore Risorto. Essa anticipa ciò a cui gli uomini aspirano da sempre: la speranza dell’eternità quale forza per affrontare il presente. Inviterà tutti a riscoprire il valore della croce quale via privilegiata per arrivare alla gloria, la necessità di saper affrontare le difficoltà con la luce della risurrezione di Gesù. Solo in Lui è possibile passare dalle tenebre alla luce”.
La «Via lucis» spiegata dal Rettore don Enzo Chiodo
153. In tempi recenti, in varie regioni, si è venuto diffondendo un pio esercizio denominato Via lucis. In esso, a guisa di quanto avviene nella Via Crucis, i fedeli, percorrendo un cammino, considerano le varie apparizioni in cui Gesù – dalla Risurrezione all’Ascensione, in prospettiva della Parusia – manifestò la sua gloria ai discepoli in attesa dello Spirito promesso (cf. Gv 14, 26; 16, 13-15; Lc 24, 49), ne confortò la fede, portò a compimento gli insegnamenti sul Regno, definì ulteriormente la struttura sacramentale e gerarchica della Chiesa. Attraverso il pio esercizio della Via lucis, i fedeli ricordano l’evento centrale della fede – la Risurrezione di Cristo – e la loro condizione di discepoli che nel Battesimo, sacramento pasquale, sono passati dalle tenebre del peccato alla luce della grazia (cf. Col 1, 13; Ef 5, 8). Per secoli la Via Crucis ha mediato la partecipazione dei fedeli al primo momento dell’evento pasquale – la Passione – e ha contribuito a fissarne i contenuti nella coscienza del popolo. Analogamente, nel nostro tempo, la Via lucis, a condizione che si svolga con fedeltà al testo evangelico, può mediare efficacemente la comprensione vitale dei fedeli del secondo momento della Pasqua del Signore, la Risurrezione. La Via lucis può divenire altresì un’ottima pedagogia della fede, perché, come si dice, «per crucem ad lucem». Infatti con la metafora del cammino, la Via lucis conduce dalla constatazione della realtà del dolore, che nel disegno di Dio non costituisce l’approdo della vita, alla speranza del raggiungimento della vera meta dell’uomo: la liberazione, la gioia, la pace, che sono valori essenzialmente pasquali. La Via lucis, infine, in una società che spesso reca l’impronta della “cultura della morte”, con le sue espressioni di angoscia e di annientamento, è uno stimolo per instaurare una “cultura della vita”, una cultura cioè aperta alle attese della speranza e alle certezze della fede.

Scoperta in Francia una nuova iconografia di Tommaso Campanella


di Elia Fiorenza
(articolo pubblicato su l'Avvenire di Calabria - giugno 2009)
Una sconosciuta “iconografia” di Tommaso Campanella, databile al XVIII secolo, è stata scoperta in Francia, a Parigi. La litografia incisa da Ferdinand, in acciaio in ottimo stato, (misure 15x24) a piena pagina, su carta pesante, con margini bianchi e con retro dello stesso colore è opera del celebre artista francese R. de Moraine. Nella pregiata stampa si riconosce il frate stilese, in abito domenicano, inginocchiato ad implorare due signorotti dell’epoca in prossimità di un’imbarcazione, mentre sullo sfondo vi si nota su di una piccola altura il santo Crocefisso. Tommaso Campanella, con cui si conclude il pensiero rinascimentale, nacque domenica cinque settembre del 1568 alle ore sei pomeridiane a Stilo in Calabria ed entrò nell'Ordine dei Domenicani a quattordici anni. Astrologo, medico e mago, governato da un’ansia di innovazione universale, sicuro di avere una missione da compiere, inesauribile nella sua opera, straordinariamente colto, scrisse le sue opere con forza irrefrenabile come “un vulcano in eruzione”. Deluso dell’Aristotelismo e del Tomismo, studiò vari filosofi e scritti orientali. L’“indisciplina” dei conventi domenicani meridionali gli permise di frequentare a Napoli Giovan Battista Della Porta, estimatore di magia. Nel 1591 subì un primo processo per eresia e pratiche magiche. Restò pochi mesi in carcere e, uscito, anziché ritornare nei conventi della sua Povincia, disobbedendo a quanto gli era stato imposto, partì per Padova, dove conobbe Galileo Galilei. Seguirono altri tre processi: uno a Padova e due a Roma (1596 e 1597). Alla fine, fu costretto a ritornare a Stilo nella Calabria Ultra, con proibizione di predicare e confessare e con il compito di chiarire l'ortodossia dei suoi scritti. Ma le sue preoccupazioni di rinnovamento, i sogni di riordini religiosi e politici, le visioni di tipo messianico, esaltate dalle sue concezioni astrologiche, lo spinsero a ordire e a predicare una rivolta contro la Spagna, che avrebbe dovuto costituire l'inizio del suo grandioso disegno. Ma nel 1599 Campanella, tradito da alcuni cospiratori, venne arrestato, incarcerato e condannato a morte. Il frate di Stilo salvò dalla morte con abilissimo inganno di follia, che egli seppe con forza sostenere anche attraverso le prove di verifica più dure e crudeli. La condanna a morte fu trasformata in quella di carcere perpetuo. Il carcere, che durò ben ventisette anni, dapprima durissimo, divenne via via più tollerabile, fino a divenire quasi solo formale. Campanella poté scrivere i suoi libri, tenere corrispondenza e ricevere visite. Nel 1626 il re di Spagna lo fece scarcerare, ma la libertà durò assai poco, perché il Nunzio apostolico lo fece incarcerare di nuovo e trasferire a Roma nelle carceri del Santo Uffizio. Ma qui le sorti di Campanella cambiarono completamente, a motivo della protezione di papa Urbano VIII, tanto che loco carceris fra Tommaso ebbe a disposizione nientemeno che il palazzo del Santo Uffizio. Mentre era in carcere a Napoli, i suoi disegni politici si erano orientati verso la Spagna, considerata come la potenza che avrebbe potuto realizzare la desiderata «innovazione universale»; ma a Roma Campanella divenne filo-francese. Per tale motivo, essendo stata scoperta a Napoli nel 1634 una congiura contro gli spagnoli, organizzata da un discepolo di Campanella, il filosofo calabrese venne ingiustamente considerato corresponsabile, e per questo dovette fuggire a Parigi, sotto falso nome e “travestito” da frate minore conventuale, sotto la protezione dell'ambasciatore di Francia. Dal 1634 Campanella visse a Parigi momenti di notorietà, ammirato e ossequiato da molti dotti e da diverse famiglie aristocratiche. Il re Luigi XIII gli assegnò un modico sostentamento; fu amico del potentissimo card. Richelieu. Il suo decesso avvenne il 21 maggio 1639, mentre cercava invano, con le sue tecniche astrologiche, di tener lontana la morte.

SER Mons. Giuseppe F. Morosini (Locri-Gerace) in occasione della Santa Pasqua


di Elia Fiorenza

“Nell’imminenza delle feste pasquali il mio pensiero corre a tutti voi per dirvi il mio affetto, la mia vicinanza, il mio augurio, l’assicurazione delle mie preghiere, la mia disponibilità ad accompagnarvi nel vostro cammino di fede”. Comincia così il messaggio per la Santa Pasqua inviato alla diocesi di Locri - Gerace dal vescovo Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini. Il Presule augura “una Pasqua serena nell’intimità gioiosa e festosa delle vostre famiglie, riconciliati con Dio con i sacramenti pasquali, a termine del cammino quaresimale. Le difficoltà economiche del momento presente, che aumentano le croniche difficoltà della nostra terra, non sono sicuramente elemento di serenità e di gioia. Ma è Pasqua anche e nonostante questo clima di aumentata difficoltà e di incertezza”. “Noi - continua Mons. Morosini - non dobbiamo mai perdere la speranza perché siamo chiamati a rendere ragione della speranza che è in noi. Dobbiamo continuare ad aver fiducia nel Signore e nella nostra capacità di sopportazione e di ripresa. Del resto la vittoria del Signore risorto sulla morte è per noi motivo di speranza: egli ci dà forza per sopportare il momento presente e ci aiuterà a traghettare verso il superamento delle nostre difficoltà”. Il vescovo Morosini augura che “ il Risorto ci dia la speranza che saremo anche noi vittoriosi del male dentro di noi e attorno a noi”. “La Pasqua - spiega il Pastore - sarà per noi felice e ricca di benefici, se sapremo celebrarla in modo veramente cristiano. Voglio esortarvi allora, miei cari fratelli, a far tesoro di tutte le iniziative sia liturgiche che tradizionali. I nostri padri ci hanno lasciato in eredità per la settimana santa tanti riti e cerimonie, con i quali hanno voluto manifestare visivamente i contenuti di fede che celebravano attraverso i riti liturgici. Il nostro sforzo oggi deve essere quello di riportare tali riti alla loro motivazione originaria, restituendo alle celebrazioni liturgiche la loro centralità. Non è bello vedere le piazze affollate la mattina di Pasqua per la celebrazione dell’incontro di Maria con Gesù risorto e costatare che in Chiesa durante la veglia pasquale ci sia poca gente. E’ invece la Veglia tra sabato e domenica la vera celebrazione della Pasqua: essa è il centro di tutto l’anno e il cuore della nostra fede. Lo stesso dicasi per i riti del Venerdì santo. E’ in Chiesa che facciamo il nostro atto di fede nella croce di Cristo; poi quella croce, nella quale crediamo e nella quale abbiamo riposto la nostra speranza, la portiamo per le nostre strade, chiedendo che essa dia luce e forza a tutte le vicende della vita”. In conclusione il vescovo di Locri - Gerace è sicuro di “quanto ci si tenga nei vari paesi a questi riti; ma vi potrete rendere conto che non si tratta di abolire niente, ma solo di riordinare tutto secondo una scala di valori. Ci vuole poco, miei cari, a ricollocare tutto nel giusto ordine: prima i riti liturgici, poi le devozioni popolari. Inoltre bisogna valutare se tutti i riti tramandati attraverso la tradizione rispondo al vero significato liturgico. Sarà un impegno di riflessione per il nuovo anno. So che la vostra fede è grande: è ad essa che mi appello perché possiate capire ed accogliere questo mio invito. Mi affido al senso di responsabilità e alla dedizione delle varie Confraternite e Comitati festeggiamenti. Ancora una volta, buona Pasqua”.


Locride


Il parroco: «bisognava sconfiggere una mentalità atavica figlia di credenze popolari»
Il paese della faida fa pace in chiesa
In 300 per essere liberati dalla maledizione dopo la strage di Duisburg


SAN LUCA (Reggio Calabria) — Miracolo a San Luca. Gli uomini si pentono e s'inginocchiano davanti a Dio. «Che fine avete fatto. Dove sta la vostra virilità? Siete venuti in chiesa come tante femminelle! ». Così, in un mix di ironia e provocazione, sono stati accolti mercoledì sera da monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, vescovo di Locri, i circa 300 uomini che, per la prima volta nella storia del paese di Corrado Alvaro hanno messo piede nel tempio di Dio.


MAI UN UOMO IN CHIESA PRIMA D'ORA - Mai prima d'ora un rappresentante del sesso forte aveva oltrepassato il sagrato della chiesa di Santa Maria della Pietà. Neanche in occasioni di matrimoni, funerali o altre manifestazioni di culto. «Una mentalità atavica, figlia di credenze popolari che è stato difficile sconfiggere sino a oggi», spiega don Pino Strangio, parroco di San Luca. Vecchie tradizioni paesane vogliono femmine e uomini separati durante manifestazioni religiose e pubbliche. Alle bambine è vietato giocare con i loro coetanei. Ai funerali le donne stringono le mani alle donne, gli uomini agli uomini. E durante i matrimoni gli uomini attendono la sposa fuori dalla chiesa e porgono gli auguri soltanto agli uomini. Ecco quindi il perché della provocazione del vescovo di Locri. Il prelato ha sfidato l'ambiente ostile e spietato di San Luca, sfinito da troppi lutti che hanno indotto uomini d'onore e non a rivolgersi a Dio per ottenere il perdono divino. La strage di Duisburg ha ferito la comunità di San Luca. Nel paese alle pendici dell'Aspromonte si è radicata la convinzione di essere vittime di una sorta di maledizione e che per scacciarla fosse necessaria la benedizione di Gesù. Sono stati proprio gli stessi protagonisti di storie di 'ndrangheta, ma anche gente comune, giovani, anziani, a rivolgersi al prelato per chiedere il suo intervento affinché a San Luca si ristabilisse quel clima di serenità perso e dimenticato.

IL RUOLO DELLA CHIESA - «La Chiesa anche a San Luca ha un ruolo e un fascino che non hanno eguali ed è per questo che non si possono tradire le attese della gente», ha detto il vescovo Morosini. «Verrò a benedirvi, ma in cambio vi chiedo un atto di coraggio. Voglio tutti gli uomini in chiesa, e solo gli uomini, a pregare». Scommessa vinta. Con gli uomini tutti in religioso silenzio ad ascoltare a capo chino le parole del vescovo. «Perdonate i vostri nemici, siate sobri e non accumulate tesori illeciti, date valore alla famiglia e non approfittate dei vostri ruoli», ha ammonito monsignor Morosini. Alla fine l'applauso ha sancito un legame storico tra i due mondi fino ad allora separati. A San Luca l'altra sera c'erano solo uomini per le strade. E quando il «corteo dei 300» si è mosso dalla chiesa per raggiungere la piazza, attraversando le vie del paese, nessuna donna ha osato affacciarsi ai balconi. Ma la giornata resterà nella memoria. Come l'immagine del vescovo Giuseppe Fiorini Morosini, che da una balaustra, attaccato a quella che fu la casa di Corrado Alvaro, è riuscito a benedire, anche se ancora divisi, uomini e donne di San Luca.

Carlo Macrì (Corriere della Sera)
21 marzo 2009

Tommaso Campanella

Tommaso Campanella
Olio su tela (Covelli 1933) Comune di Stilo

Stilo, patria natale di Tommaso Campanella

Stilo, terra d'origine di fra Tommaso Campanella. Le sorgenti di base, su tale questione, ci vennero, prima d'ora, offerte dallo storico Capialbi che pubblicò gli atti processuali della Congiura ed eresia nel 1882, da Enrico Carusi che trasse dall’Archivio Vaticano i Decreti della Santa Inquisizione nel 1927, da Vincenzo Spampanato cui si deve il ritrovamento della ordinanza (nel 1927) dei Padri Domenicani di Napoli del primo processo regolamentare e dallo studioso torinese Luigi Firpo. A questo punto non resta che riassumere i Documenti che concordemente attestano Stilo, patria natale di Tommaso Campanella. In primis l’atto di battesimo “A 12 settembre. Battezzato Giovanni Domenico Campanella figlio di Geronemo e Caterina Martello nato il giorno cinque, da me D. Terenzio Romano Parroco di san Biagio del Borgo”. (cfr Vito Capialbi: Documenti inediti riguardante P. Campanella Napoli Tip. Porcelli 1845 pag. 16 nota n. 1) . Nel Borgo di Stilo, si mostra tuttora, la casa di abitazione dove venne al mondo Campanella. Se si accetta il 5 settembre 1568 come data di nascita del Campanella e la notizia ci deriva solo dal suddetto documento, bisogna convenire che tutte le notizie contenute nell’atto parrocchiale, oggi smarrito, sono veritiere. Se non si è in dubbio della data di nascita, del nome di battesimo Giovan Domenico, del nome del padre e della madre, neppure del luogo di battesimo “S. Biagio al Borgo” in Stilo, avvenuto sette giorni dopo la nascita e precisamente il 12 settembre 1568. Battezzato a Stilo Campanella fu partorito a Stilo e non esiste un testo che possa comprovare l’ipotesi di un trasferimento da Stignano a Stilo per il battesimo. Il volume Scriptores Ordinis Praedicatorum lo dichiara “Natus Styli an. 1568 die 5 septembris est”. Campanella richiesto a rilasciare dichiarazione, dopo qualche giorno della cattura avvenuta in una vigna, vicino al mare, di Antonio Musuraca, presso Roccella, ebbe a registrare: “Io fra Thomase Campanella del ordine di S.to Dominico, dela terra de Stilo de Calabria Ultra…” (L.Amabile III, 28) ed interrogato a Castelnuovo di Napoli il 23 novembre 1599 afferma: “Io mi chiamo fra Thomasi Campanella dell’ordine di San Dominico, son di una terra chiamata Stilo in Calabria Ultra…” (L.Amabile, III, 247). Quindi nelle sue dichiarazioni il Campanella non specifica del casale di Stilo chiamato Stignano. Al contrario, il domenicano Fr. Domenico Petrolo, coinvolto col Campanella nella Congiura del 1599 diversifica Stignano da Stilo: “Io mi chiamo fra Domenico Petrolo di Stignano sono di Stignano sono sacerdote…” (L.Amabile III, 212). A marcare la distinzione dei due paesi vi stanno i Decreti della Santa Inquisizione. Il Decreto n. 5 del 14 marzo 1595 recita: “ Frater Thomasi filius Hieronimi Campanella de Stilo” (cfr. inoltre il decreto n. 6 del 16 dicembre 1596 e n. 10 del 2 luglio 1598). Del Petrolo, nel Decreto n. 38 del 28 novembre 1602, si dice: “ In causa fratis Dominico de Stignano”. (cfr. Giornale Critico della Filosofia Italiana Roma – Milano VIII – 1927 pag. 321-359). In verità Geronemo Campanella Sindaco di Stignano si trasferì per un periodo con tutta la famiglia a causa della peste. Omettiamo di citare gli innumerevoli testi Campanelliani dove Stilo è chiamata Patria mia e nessuno che possa in qualche modo richiamare Stignano. Da evidenziare, inoltre, la denunzia di Fabio de Lauro e G.Battista stesa il 10 agosto 1599 nella quale si legge: “Fray Thomas Campanella de Stylo dela orden de santo Domingo, persona che tiene el primato per todo el mundo”. (L.Amabile III, 15). Scrive l’intellettuale torinese Luigi Firpo: “Sembra pesare tuttora sulla figura di Tommaso Campanella qualcosa come un'avversione sorda, una diffidenza, un senso di intolleranza infastidita, che e` per tanta parte ancora l'atteggiamento col quale il tempo suo ne ascoltò le parole appassionate e parve volerlo respingere come un suscitatore di problemi troppo gravi e apparentemente remoti dal vivo delle dispute quotidiane. Egli, per parte sua, contribuì a questo suo fallimento pratico con la esuberanza indomabile, le visioni gigantesche,il fare profetico, l ' incapacità di agire avvedutamente tra gli interessi e i rispetti mondani. Nacque quattro secoli or sono, il 5 settembre 1568, in una casupola di questa vostra città di Stilo, aggrappata a uno sperone del roccioso Consolino e affacciata sullo Ionio”.

Madonna delle Grazie Stilo

Madonna delle Grazie Stilo
affresco "a sinopia" XVI secolo

Cattolica di Stilo X sec.

Cattolica di Stilo X sec.
veduta dall'alto (cupole)

Bivongi (panorama)

Bivongi ... e le sue acque sante

Sentirsi bene. Essere in forma, in armonia con se stessi. È il turismo del nuovo millennio e Bivongi è la più termale dei centri dell’alta Locride. L’antico borgo, posto sulle falde occidentali del monte Consolino, nel Medio Evo ebbe grande importanza assieme a Stilo a Pazzano per l'estrazione dalle sue miniere di limonite, pirite, rame ed argento. Bagni di Guida è una località di Bivongi nei pressi della fiumara dello Stilaro, un tempo noto come “Acque Sante” per le sue proprietà mediche dovute ad elementi sulfuro-alcalini. Se ne conosce un suo utilizzo fin dal 1870 ma erano note sin dal tempo dei bizantini e anche nella fase pre-bizantina. L’acqua è da sempre accreditata un elemento di necessario valore sia per il sostentamento dell'uomo, che per il miglioramento della civiltà. Appunto, la nascita e lo sviluppo di molti popoli è stato rigorosamente legato alla presenza di corsi d'acqua. Per di più, l’uomo ha individuato nell’acqua la capacità di preservarlo dalle malattie e di facilitargli la guarigione, per queste motivazioni sin dall'antichità ha attribuito ad essa virtù prodigiose, a tal punto che veniva considerata omaggio degli dei. Quando nel Medio Evo, le solite erbe e tisane non riuscivano né a curare le patologie né tanto meno ad alleviare la sofferenza fisica, non restava che affidarsi all’azione curativa e purificatrice dell’acqua che riacquistò così l'importanza terapeutica. In realtà, i solfuri alcalini conferiscono alle acque dei bagni di Guida di Bivongi le importanti proprietà antimicrobiche. Quest’acqua sulfurea è ricca di sali minerali e principi attivi. Possiede un particolare grado solfimedrico che garantisce un’azione sulla pelle cheratoplastica, cheratolitica, anti-seborroica ed antimicrobica. Oltre a queste proprietà dell’acqua sulfurea che potremmo definire dirette sulla pelle, ci sono delle azioni indirette quali la stimolazione della circolazione, la stimolazione delle funzioni biologiche delle cellule, intervenendo sull’eliminazione dei radicali liberi. Bivongi è un'immersione completa, un viaggio dentro se stessi per recuperare il benessere perduto. Un itinerario, dunque, alla scoperta di una Calabria forse meno conosciuta, ma non per questo meno affascinante: un luogo antico che ci racconta di un’allegra stagione di sviluppo economico e sociale.
Elia Fiorenza

Stilo: Palazzo San Giovanni