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A Novecentosessanta anni dalla Morte di San Giovanni Theristys

di Elia Fiorenza - Era l’anno del Signore 1050 quando Giovanni, figlio del conte di Cursano nel contado di Stilo, passava a miglior vita assistito dai suoi confratelli, “figli” di San Basilio il grande di Cesarea. Dopo ben novecentosessanta anni è sorta la proposta di elevare, questo atleta della fede Cristiana, a santo patrono della Vallata dello Stilaro, luogo questo, che rappresentò lo scenario della sua vita mortale. Negli Acta Santorum dei Bollandisti è descritta la vita del beato, tradotta nel Seicento dal greco al latino dal frate stilese Stefano Bardaro. Nel bios, si narra che Giovanni nacque nella Palermo occupata dagli Arabi, da cui scappò su suggerimento della madre ridotta in schiavitù dopo una razzia araba nel contado dell’illustrissima Civitas Styli. La tradizione popolare vuole che, munito di una piccola croce, attraversò in barca lo stretto di Messina, per poi giungere sino a Stilo (nei pressi della vicina Monasterace). Gli abitanti del luogo, vedendolo vestito da musulmano, lo condussero presso il vescovo Giovanni, che lo interrogò per sapere da dove fosse venuto e cosa cercasse. Il giovane quattordicenne, ricolmo di fede, replicò che chiedeva il santo battesimo, ma il vescovo lo volle sottoporre a dure verifiche prima di conferirglielo e di imporgli il proprio nome. Col passare di qualche anno sentì sempre più forte la vocazione per quella vita ascetica dei religiosi che vivevano nelle laure ubicate sui monti di Stilo, in modo particolare di due basiliani, Ambrogio e Nicola. Dopo molte insistenze fu ammesso nella comunità religiosa dove distintosi per virtù, fu eletto abate. Ritrovato a Cursano un tesoro appartenuto alla sua famiglia di nobile origine, lo distribuì ai bisognosi. Non lontano dal sacro monastero ortodosso esisteva una grotta dalla quale sgorgava dell’acqua sorgiva e d’inverno Giovanni usava pregare in mezzo alle acque gelide. Secondo la narrazione un cacciatore tornando dalla caccia, vide il santo immerso nel¬l’acqua e, credendo che fosse intento a lavarsi, si scandalizzò, come se fosse un'azione troppo lussuosa per un monaco. Il frutto di questa mormorazione fu un fuoco interiore irresistibile che cessò soltanto quando il cacciatore chiese perdono a san Giovanni tramite la madre. Volendo, il santo, visitare un cavaliere di San Giovanni di Rodi presso la vicina, Monasterace, che aveva provveduto al vitto del monastero, nel mese di giugno, al tempo della mietitura prese con sé un pane ed un fiaschetto di vino. Giunto presso due fondi, chiamati Marone e Maturavolo, offrì ai contadini il pane e il vino. Un furente temporale si abbatté su quei fondi, rischiando di distruggere il raccolto, ma la preghiera intensa di Giovanni fece sì che il grano fosse mietuto e raccolto in covoni. Questo e altri episodi testimonianti l’aiuto soccorrevole ai contadini, gli valsero l’appellativo di Therìstys, cioè mietitore. Il padrone dei campi, per quanto era accaduto, li diede in dono al monastero. La fama dei prodigi di San Giovanni giunse fino alla corte del conte Ruggero il Normanno il quale, dopo aver ricevuto anch’egli una grazia relativa alla guarigione di un male che gli deturpava il viso, concesse al monastero generose elargizioni. Il monastero di san Giovanni il Mietitore, attualmente ricadente nel territorio comunale di Bivongi, fondato verso la metà del secolo XI, godette successivamente della benevolenza dei signori normanni, che edificarono la sua basilica in forme monumentali, oggi ammirata e venerata. La fiorente attività del monastero durante il medioevo è ben testimoniata da cinquantuno documenti greci pubblicati da André Guillou. Ad Atanasio Calceopulo - scrive lo storico Domenico Minuto - esso appare come «una grossa azienda, spiritualmente desolata ed economicamente dissestata: egli si sofferma a visitarla per ben 12 giorni, dal 10 al 22 novembre 1457». In seguito, in età moderna, i frati ritennero rischiosa la permanenza in un luogo solitario, visti i continui saccheggi da parte di briganti, e si tra¬sferirono nell'abitato di Stilo, dove ricostruirono un nuovo complesso monastico appartenuto ai padri minimi di San Francesco di Paola. Da allora, pertanto, il territorio della vallata bizantina dello Stilaro ha due monasteri di san Giovanni ed il primo è noto anche come san Giovanni Vecchio. La persistenza della memoria del santo, sempre costante fra Stilo, Pazzano, Bivongi e Monasterace, ha acceso dunque i riflettori su una sua probabile elevazione a Santo Patrono di questo squarcio di Calabria. Il 24 Giugno 1847 l’arcivescovo metropolita di Squillace Mons. Concezio Pasquini svolse la ricognizione del corpo di San Giovanni, lo stresso giorno in cui nel 1122 Callisto II aveva benedetto alla presenza di Ruggero il Normanno il Convento di S. Giovanni in Nemore. Il Santo di Stilo è ricordato nel Martirologio Romano due volte: al 24 Febbraio, Dies natalis e al 24 Giugno, per la Dedicazione della Chiesa a lui intitolata a Stilo dal Pontefice Romano Callisto II nel 1122. La solenne Festa, che si celebrava a Palermo fino al 1737 al 24 Giugno, nel 1738 fu conferita nell’Ordinario Palermitano al 26 Febbraio. Nel 1724 una reliquia del braccio del santo fu donata dall'Abate Generale basiliano al Senato Palermitano e da questo al card. Giuseppe Gasch, che fece realizzare un Reliquiario d'argento, custodito ancora oggi nella Basilica Cattedrale. La festa della Traslazione nell’Alta Locride si celebrò fino al 1929; quella del Santo fino al 1958, quando è stato soppresso dal calendario diocesano.




Tommaso Campanella

Tommaso Campanella
Olio su tela (Covelli 1933) Comune di Stilo

Stilo, patria natale di Tommaso Campanella

Stilo, terra d'origine di fra Tommaso Campanella. Le sorgenti di base, su tale questione, ci vennero, prima d'ora, offerte dallo storico Capialbi che pubblicò gli atti processuali della Congiura ed eresia nel 1882, da Enrico Carusi che trasse dall’Archivio Vaticano i Decreti della Santa Inquisizione nel 1927, da Vincenzo Spampanato cui si deve il ritrovamento della ordinanza (nel 1927) dei Padri Domenicani di Napoli del primo processo regolamentare e dallo studioso torinese Luigi Firpo. A questo punto non resta che riassumere i Documenti che concordemente attestano Stilo, patria natale di Tommaso Campanella. In primis l’atto di battesimo “A 12 settembre. Battezzato Giovanni Domenico Campanella figlio di Geronemo e Caterina Martello nato il giorno cinque, da me D. Terenzio Romano Parroco di san Biagio del Borgo”. (cfr Vito Capialbi: Documenti inediti riguardante P. Campanella Napoli Tip. Porcelli 1845 pag. 16 nota n. 1) . Nel Borgo di Stilo, si mostra tuttora, la casa di abitazione dove venne al mondo Campanella. Se si accetta il 5 settembre 1568 come data di nascita del Campanella e la notizia ci deriva solo dal suddetto documento, bisogna convenire che tutte le notizie contenute nell’atto parrocchiale, oggi smarrito, sono veritiere. Se non si è in dubbio della data di nascita, del nome di battesimo Giovan Domenico, del nome del padre e della madre, neppure del luogo di battesimo “S. Biagio al Borgo” in Stilo, avvenuto sette giorni dopo la nascita e precisamente il 12 settembre 1568. Battezzato a Stilo Campanella fu partorito a Stilo e non esiste un testo che possa comprovare l’ipotesi di un trasferimento da Stignano a Stilo per il battesimo. Il volume Scriptores Ordinis Praedicatorum lo dichiara “Natus Styli an. 1568 die 5 septembris est”. Campanella richiesto a rilasciare dichiarazione, dopo qualche giorno della cattura avvenuta in una vigna, vicino al mare, di Antonio Musuraca, presso Roccella, ebbe a registrare: “Io fra Thomase Campanella del ordine di S.to Dominico, dela terra de Stilo de Calabria Ultra…” (L.Amabile III, 28) ed interrogato a Castelnuovo di Napoli il 23 novembre 1599 afferma: “Io mi chiamo fra Thomasi Campanella dell’ordine di San Dominico, son di una terra chiamata Stilo in Calabria Ultra…” (L.Amabile, III, 247). Quindi nelle sue dichiarazioni il Campanella non specifica del casale di Stilo chiamato Stignano. Al contrario, il domenicano Fr. Domenico Petrolo, coinvolto col Campanella nella Congiura del 1599 diversifica Stignano da Stilo: “Io mi chiamo fra Domenico Petrolo di Stignano sono di Stignano sono sacerdote…” (L.Amabile III, 212). A marcare la distinzione dei due paesi vi stanno i Decreti della Santa Inquisizione. Il Decreto n. 5 del 14 marzo 1595 recita: “ Frater Thomasi filius Hieronimi Campanella de Stilo” (cfr. inoltre il decreto n. 6 del 16 dicembre 1596 e n. 10 del 2 luglio 1598). Del Petrolo, nel Decreto n. 38 del 28 novembre 1602, si dice: “ In causa fratis Dominico de Stignano”. (cfr. Giornale Critico della Filosofia Italiana Roma – Milano VIII – 1927 pag. 321-359). In verità Geronemo Campanella Sindaco di Stignano si trasferì per un periodo con tutta la famiglia a causa della peste. Omettiamo di citare gli innumerevoli testi Campanelliani dove Stilo è chiamata Patria mia e nessuno che possa in qualche modo richiamare Stignano. Da evidenziare, inoltre, la denunzia di Fabio de Lauro e G.Battista stesa il 10 agosto 1599 nella quale si legge: “Fray Thomas Campanella de Stylo dela orden de santo Domingo, persona che tiene el primato per todo el mundo”. (L.Amabile III, 15). Scrive l’intellettuale torinese Luigi Firpo: “Sembra pesare tuttora sulla figura di Tommaso Campanella qualcosa come un'avversione sorda, una diffidenza, un senso di intolleranza infastidita, che e` per tanta parte ancora l'atteggiamento col quale il tempo suo ne ascoltò le parole appassionate e parve volerlo respingere come un suscitatore di problemi troppo gravi e apparentemente remoti dal vivo delle dispute quotidiane. Egli, per parte sua, contribuì a questo suo fallimento pratico con la esuberanza indomabile, le visioni gigantesche,il fare profetico, l ' incapacità di agire avvedutamente tra gli interessi e i rispetti mondani. Nacque quattro secoli or sono, il 5 settembre 1568, in una casupola di questa vostra città di Stilo, aggrappata a uno sperone del roccioso Consolino e affacciata sullo Ionio”.

Madonna delle Grazie Stilo

Madonna delle Grazie Stilo
affresco "a sinopia" XVI secolo

Cattolica di Stilo X sec.

Cattolica di Stilo X sec.
veduta dall'alto (cupole)

Bivongi (panorama)

Bivongi ... e le sue acque sante

Sentirsi bene. Essere in forma, in armonia con se stessi. È il turismo del nuovo millennio e Bivongi è la più termale dei centri dell’alta Locride. L’antico borgo, posto sulle falde occidentali del monte Consolino, nel Medio Evo ebbe grande importanza assieme a Stilo a Pazzano per l'estrazione dalle sue miniere di limonite, pirite, rame ed argento. Bagni di Guida è una località di Bivongi nei pressi della fiumara dello Stilaro, un tempo noto come “Acque Sante” per le sue proprietà mediche dovute ad elementi sulfuro-alcalini. Se ne conosce un suo utilizzo fin dal 1870 ma erano note sin dal tempo dei bizantini e anche nella fase pre-bizantina. L’acqua è da sempre accreditata un elemento di necessario valore sia per il sostentamento dell'uomo, che per il miglioramento della civiltà. Appunto, la nascita e lo sviluppo di molti popoli è stato rigorosamente legato alla presenza di corsi d'acqua. Per di più, l’uomo ha individuato nell’acqua la capacità di preservarlo dalle malattie e di facilitargli la guarigione, per queste motivazioni sin dall'antichità ha attribuito ad essa virtù prodigiose, a tal punto che veniva considerata omaggio degli dei. Quando nel Medio Evo, le solite erbe e tisane non riuscivano né a curare le patologie né tanto meno ad alleviare la sofferenza fisica, non restava che affidarsi all’azione curativa e purificatrice dell’acqua che riacquistò così l'importanza terapeutica. In realtà, i solfuri alcalini conferiscono alle acque dei bagni di Guida di Bivongi le importanti proprietà antimicrobiche. Quest’acqua sulfurea è ricca di sali minerali e principi attivi. Possiede un particolare grado solfimedrico che garantisce un’azione sulla pelle cheratoplastica, cheratolitica, anti-seborroica ed antimicrobica. Oltre a queste proprietà dell’acqua sulfurea che potremmo definire dirette sulla pelle, ci sono delle azioni indirette quali la stimolazione della circolazione, la stimolazione delle funzioni biologiche delle cellule, intervenendo sull’eliminazione dei radicali liberi. Bivongi è un'immersione completa, un viaggio dentro se stessi per recuperare il benessere perduto. Un itinerario, dunque, alla scoperta di una Calabria forse meno conosciuta, ma non per questo meno affascinante: un luogo antico che ci racconta di un’allegra stagione di sviluppo economico e sociale.
Elia Fiorenza

Stilo: Palazzo San Giovanni