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Giorgio Napolitano "scopre" Tommaso Campanella


I libri di studio del giovane Campanella ammirati dal Presidente della Repubblica 
(Intervista allo scrittore Claudio Stillitano)


Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che nei giorni scorsi è stato in Calabria per una visita istituzionale, ha avuto modo di ammirare, nel complesso monumentale del San Domenico di Lamezia Terme, un estimabile patrimonio librario: le cinquecentine conservate nella Casa del Libro Antico dello stesso Comune e provenienti dalla librarìa del convento dell’Annunziata di Nicastro, dove, nell’anno scolastico 1585-1586, studiò il filosofo Tommaso Campanella, che, nell’anno precedente, dopo aver emessa la professione, era stato nel convento di San Giorgio Morgeto (in quest’ultima sede il frate domenicano scrisse versi «in metro eroico e ritmo saffico», compose alcune lectiones logicae, phisicae et animasticae, andate perdute, e delle iscrizioni poetiche per l’arco trionfale e gli altari della chiesa locale). 

Gran parte di questi volumi («veri e propri esemplari del XVI secolo, unici al mondo», come li ha definiti la prof. Giovanna De Sensi Sestito, docente presso l’Università degli Studi della Calabria) conservano ancora intatte, quasi fossero state apposte di recente, molte note autografe del frate domenicano, il quale, come lo stesso scrive nel sonetto Anima immortale, divorò «quanti libri tiene il mondo» per «saziar l’appetito mio profondo».
Chiediamo allo studioso e scrittore stilese Claudio Stillitano – che da alcuni anni si interessa delle vicende biografiche e del pensiero politico ed esoterico del più grande poligrafo del tardo Rinascimento (la sua ultima ricerca, che ha come titolo di Il segreto di Campanella, è stata molto apprezzata dal pubblico e dalla critica) – quali sono i libri che hanno suscitato l’attenzione e la “curiosità” del Capo dello Stato, il quale, consultando questi testi preziosi, si è impegnato a far valorizzare l’enorme produzione letteraria, filosofica e scientifica del domenicano, sulla scia dell’esempio e dell’insegnamento di Eugenio Garin (1909-2004).

«Prima di parlare delle cinquecentine dell’ex-convento di Nicastro, voglio soffermarmi sul riferimento che il presidente Napolitano ha fatto ad Eugenio Garin, all’autorevole e grande storico della filosofia dell’Umanesimo e del Rinascimento. Questo illustre studioso è stato tra i pochi, con lo storico Luigi Firpo e la prof. Germana Ernst, a riconoscere il ruolo che Campanella ebbe nel rinnovamento e nella «rinascita degli spiriti» della cultura europea. Nella sua Storia della filosofia italiana Eugenio Garin, andando controcorrente, scrisse che il frate di Stilo fu un autentico intellettuale, capace di intuire l’inscindibilità dell’idealizzazione teorica dalla lotta politica (teoria e prassi), un filosofo coerente con se stesso, in quanto non abbandonò mai i suoi ideali, “sia quando, quasi contemporaneamente alla Città del Sole, stendeva la Monarchia di Spagna, sia quando, nel 1605, componeva la Monarchia del Messia”. Garin scrisse addirittura che, pur riaffermando i valori e le dottrine del cristianesimo, Campanella non mutò mai “la sua adesione alla religione della natura, a quella che lo Stilese considerava il vero maestro, in quanto parlava direttamente il linguaggio divino e permetteva di penetrare nei segreti di Dio”. Campanella, in sostanza, non si accontentava più, come i filosofi che lo avevano preceduto, di interpretare il mondo, pensava che era venuto il momento per cambiarlo. Quanto ai libri, occorre fare ancora un’altra premessa».

Si riferisce, forse, al carattere turbolento e all’irrequietezza intellettuale del giovane Campanella?

«E’ proprio di questo che voglio parlare. A Nicastro, Tommaso Campanella manifesta, in modo evidente, la sua insoddisfazione per la filosofia aristotelica e gli insegnamenti che venivano propinati nei vari conventi domenicani. Questo suo essere “sempre contraddicente” gli procurerà l’avversione e l’ostilità dei suoi superiori, uno dei quali (fra Antonino da Prato, come è stato identificato dallo studioso campanelliano padre Carlo Longo) pronuncerà le famose parole, che anticiperanno le disavventure processuali a cui il roccioso frate calabrese andrà incontro: “Campanella, Campanella, tu non farai bon fine”. Nel convento dell’Annunziata, il domenicano, oltre a studiare instancabilmente sui libri di teologia (per la sua preparazione, sarà, tra l’altro, dispensato dal seguire i corsi del terzo anno di studi), si immerge nella lettura di testi di astrologia, di magia e di superstizione e pensa già a quello che sarà un leit-motiv, un filo conduttore della sua filosofia: lo studio immediato, spontaneo, senza tramiti autoritari e aristotelici, dell’”original libro della Natura”, del mondo, “tempio di Dio”, che bisogna anteporre ai “libri e templi morti delli uomini”».

Nel convento di Nicastro Campanella fa amicizia con alcuni frati che avranno un ruolo non secondario nella congiura di Calabria.

«A Nicastro il giovane Campanella conosce fra Gregorio Costa – che “in abito di merciaro et venditore di figure” (Carlo Longo) andava in giro per i paesi per istigare le popolazioni alla rivolta -; fa amicizia con i tre fratelli Ponzio: Pietro, Ferrante e Dionisio. Quest’ultimo sarà il principale collaboratore del frate nell’organizzazione della ribellione antispagnola; nel 1603 fugge a Costantinopoli e diventa musulmano, ma sarà ucciso da un giannizzero durante una rissa. La figura di questo frate estroverso resta ancora tutta da chiarire, pur essendo già note agli storici e ai biografi campanelliani quasi tutte le vicende cui il domenicano calabrese fu interessato. C’è da dire, inoltre, che fra Dionisio Ponzio fu, con Maurizio de Rinaldis (originario di Guardavalle, allora casale di Stilo, e capo secolare della congiura), fra Tommaso Campanella, fra Pietro Ponzio, uno dei quattro maggiori responsabili della congiura e un componente, con fra Giovan Battista da Pizzoni, fra Silvestro di Lauriana, fra Pietro Presterà di Stilo, fra Domenico Petrolo di Stignano, Giuseppe Bitonto di San Giorgio Morgeto, Giuseppe Jatrinoli della Grotteria, del nucleo storico della rivolta (Gianfranco Formichetti)».

Cosa scrisse Campanella a Nicastro?

«Nella biblioteca del convento, il frate inizia a scrivere il De investigatione rerum, un’opera che andrà perduta. In quell’ambiente fa sue, in modo quasi esasperato, ma con grande convinzione, le indicazioni inserite nelle antiche Costituzioni domenicane, dove è scritto che i libri devono essere “ordinati all’utilità pubblica” e devono avere, quindi, un valore strumentale nella conoscenza e nello studio dei filosofi e dei savi, i quali, per Campanella, devono perseguire il riscatto culturale, spirituale e politico degli uomini e il raggiungimento di una società più giusta, retta dalla ragione e da “propositi naturali e astrologici”: quella che il filosofo poi descriverà nella sua operetta utopica, La Città del Sole».

Andiamo, dunque, alle annotazioni campanelliane che compaiono nelle cinquecentine della Casa del Libro Antico di Lamezia Terme.

«Riguardo a tali annotazioni – di cui si è occupata egregiamente la studiosa Antonella De Vinci – c’è da rilevare che alcuni libri, forse, sono stati portati a Nicastro da altri conventi, come quelli di Placanica o di San Giorgio Morgeto. Le note autografe di Campanella sono presenti, ad esempio, nell’Ars versificatoria di Joannes Despauterius (stampata a Parigi nel 1517), dove, con una grafìa nitida e controllata, il filosofo annota alcune riflessioni sul tema dell’inno, che anticipa quella sua predilezione che troverà una sistemazione adeguata nella Poetica latina. In una Grammatica (edizione napoletana del 1539) di Lucio Giovanni Scoppa troviamo alcune note di studio e sunti che riguardano le lettere dell’alfabeto e l’arte metrica, argomenti su cui il filosofo, nella sua Grammatica, proporrà delle riforme. Ad interessarlo maggiormente – lo dimostrano le annotazioni apposte sul libro de Spiratione, interprete Pietro Alcyonio, dell’Aristotelis Stagiritae Opera (Lione, 1563) - è il tema della metrica, “che deriva dal suo interesse e desiderio di carpire il segreto dei ritmi esistenti nella natura, quale il frinire delle cicale, concerto tipico delle assolate terre meridionali”(De Vinci)».

Gli altri libri?

«Tra gli altri libri troviamo ancora una Vita Christi (1581) di Landolfo di Sassonia (1581), dove, leggendo alcune annotazioni, scopriamo un concetto che Campanella manterrà per tutta la sua vita: l’opposizione all’esaltazione della sofferenza attraverso il martirio della crocifissione. Questo concetto, forse di derivazione templare o rosacrociana (gnostica o catara, per alcuni), lo troviamo espresso nel sonetto (in un primo tempo attribuito da Firpo a Campanella, ma negato da Francesco Giancotti) Deh! Mira, ingrato, su quell’alto legno. Ma le annotazioni più importanti si trovano nei testi aristotelici. Nell’Epitome del Iavelli (1567), ad esempio, che su una pagina presenta un’annotazione “stravagante”, con un 7 e un 3, numeri fortemente simbolici e il disegno di una campanella, che preannuncia il sigillo personale di Campanella: una campana, appunto, con l’indice puntato e la scritta Propter Sion non tacebo (Non tacerò, non riusciranno a farmi tacere). Nella stessa opera vi è un altro indizio che fa supporre come a quel tempo il domenicano già pensasse al «sogno di una vita più bella», alla sua Città del Sole. Si tratta di una “Q”, in cui il filosofo disegna un punto, anticipando cosi il simbolo astrologico ed ermetico del sole, che si vedrà poi nei manoscritti dell’operetta utopica e stampato sul frontespizio di un’edizione della Civitas Solis». 

Elia Fiorenza


Tommaso Campanella

Tommaso Campanella
Olio su tela (Covelli 1933) Comune di Stilo

Stilo, patria natale di Tommaso Campanella

Stilo, terra d'origine di fra Tommaso Campanella. Le sorgenti di base, su tale questione, ci vennero, prima d'ora, offerte dallo storico Capialbi che pubblicò gli atti processuali della Congiura ed eresia nel 1882, da Enrico Carusi che trasse dall’Archivio Vaticano i Decreti della Santa Inquisizione nel 1927, da Vincenzo Spampanato cui si deve il ritrovamento della ordinanza (nel 1927) dei Padri Domenicani di Napoli del primo processo regolamentare e dallo studioso torinese Luigi Firpo. A questo punto non resta che riassumere i Documenti che concordemente attestano Stilo, patria natale di Tommaso Campanella. In primis l’atto di battesimo “A 12 settembre. Battezzato Giovanni Domenico Campanella figlio di Geronemo e Caterina Martello nato il giorno cinque, da me D. Terenzio Romano Parroco di san Biagio del Borgo”. (cfr Vito Capialbi: Documenti inediti riguardante P. Campanella Napoli Tip. Porcelli 1845 pag. 16 nota n. 1) . Nel Borgo di Stilo, si mostra tuttora, la casa di abitazione dove venne al mondo Campanella. Se si accetta il 5 settembre 1568 come data di nascita del Campanella e la notizia ci deriva solo dal suddetto documento, bisogna convenire che tutte le notizie contenute nell’atto parrocchiale, oggi smarrito, sono veritiere. Se non si è in dubbio della data di nascita, del nome di battesimo Giovan Domenico, del nome del padre e della madre, neppure del luogo di battesimo “S. Biagio al Borgo” in Stilo, avvenuto sette giorni dopo la nascita e precisamente il 12 settembre 1568. Battezzato a Stilo Campanella fu partorito a Stilo e non esiste un testo che possa comprovare l’ipotesi di un trasferimento da Stignano a Stilo per il battesimo. Il volume Scriptores Ordinis Praedicatorum lo dichiara “Natus Styli an. 1568 die 5 septembris est”. Campanella richiesto a rilasciare dichiarazione, dopo qualche giorno della cattura avvenuta in una vigna, vicino al mare, di Antonio Musuraca, presso Roccella, ebbe a registrare: “Io fra Thomase Campanella del ordine di S.to Dominico, dela terra de Stilo de Calabria Ultra…” (L.Amabile III, 28) ed interrogato a Castelnuovo di Napoli il 23 novembre 1599 afferma: “Io mi chiamo fra Thomasi Campanella dell’ordine di San Dominico, son di una terra chiamata Stilo in Calabria Ultra…” (L.Amabile, III, 247). Quindi nelle sue dichiarazioni il Campanella non specifica del casale di Stilo chiamato Stignano. Al contrario, il domenicano Fr. Domenico Petrolo, coinvolto col Campanella nella Congiura del 1599 diversifica Stignano da Stilo: “Io mi chiamo fra Domenico Petrolo di Stignano sono di Stignano sono sacerdote…” (L.Amabile III, 212). A marcare la distinzione dei due paesi vi stanno i Decreti della Santa Inquisizione. Il Decreto n. 5 del 14 marzo 1595 recita: “ Frater Thomasi filius Hieronimi Campanella de Stilo” (cfr. inoltre il decreto n. 6 del 16 dicembre 1596 e n. 10 del 2 luglio 1598). Del Petrolo, nel Decreto n. 38 del 28 novembre 1602, si dice: “ In causa fratis Dominico de Stignano”. (cfr. Giornale Critico della Filosofia Italiana Roma – Milano VIII – 1927 pag. 321-359). In verità Geronemo Campanella Sindaco di Stignano si trasferì per un periodo con tutta la famiglia a causa della peste. Omettiamo di citare gli innumerevoli testi Campanelliani dove Stilo è chiamata Patria mia e nessuno che possa in qualche modo richiamare Stignano. Da evidenziare, inoltre, la denunzia di Fabio de Lauro e G.Battista stesa il 10 agosto 1599 nella quale si legge: “Fray Thomas Campanella de Stylo dela orden de santo Domingo, persona che tiene el primato per todo el mundo”. (L.Amabile III, 15). Scrive l’intellettuale torinese Luigi Firpo: “Sembra pesare tuttora sulla figura di Tommaso Campanella qualcosa come un'avversione sorda, una diffidenza, un senso di intolleranza infastidita, che e` per tanta parte ancora l'atteggiamento col quale il tempo suo ne ascoltò le parole appassionate e parve volerlo respingere come un suscitatore di problemi troppo gravi e apparentemente remoti dal vivo delle dispute quotidiane. Egli, per parte sua, contribuì a questo suo fallimento pratico con la esuberanza indomabile, le visioni gigantesche,il fare profetico, l ' incapacità di agire avvedutamente tra gli interessi e i rispetti mondani. Nacque quattro secoli or sono, il 5 settembre 1568, in una casupola di questa vostra città di Stilo, aggrappata a uno sperone del roccioso Consolino e affacciata sullo Ionio”.

Madonna delle Grazie Stilo

Madonna delle Grazie Stilo
affresco "a sinopia" XVI secolo

Cattolica di Stilo X sec.

Cattolica di Stilo X sec.
veduta dall'alto (cupole)

Bivongi (panorama)

Bivongi ... e le sue acque sante

Sentirsi bene. Essere in forma, in armonia con se stessi. È il turismo del nuovo millennio e Bivongi è la più termale dei centri dell’alta Locride. L’antico borgo, posto sulle falde occidentali del monte Consolino, nel Medio Evo ebbe grande importanza assieme a Stilo a Pazzano per l'estrazione dalle sue miniere di limonite, pirite, rame ed argento. Bagni di Guida è una località di Bivongi nei pressi della fiumara dello Stilaro, un tempo noto come “Acque Sante” per le sue proprietà mediche dovute ad elementi sulfuro-alcalini. Se ne conosce un suo utilizzo fin dal 1870 ma erano note sin dal tempo dei bizantini e anche nella fase pre-bizantina. L’acqua è da sempre accreditata un elemento di necessario valore sia per il sostentamento dell'uomo, che per il miglioramento della civiltà. Appunto, la nascita e lo sviluppo di molti popoli è stato rigorosamente legato alla presenza di corsi d'acqua. Per di più, l’uomo ha individuato nell’acqua la capacità di preservarlo dalle malattie e di facilitargli la guarigione, per queste motivazioni sin dall'antichità ha attribuito ad essa virtù prodigiose, a tal punto che veniva considerata omaggio degli dei. Quando nel Medio Evo, le solite erbe e tisane non riuscivano né a curare le patologie né tanto meno ad alleviare la sofferenza fisica, non restava che affidarsi all’azione curativa e purificatrice dell’acqua che riacquistò così l'importanza terapeutica. In realtà, i solfuri alcalini conferiscono alle acque dei bagni di Guida di Bivongi le importanti proprietà antimicrobiche. Quest’acqua sulfurea è ricca di sali minerali e principi attivi. Possiede un particolare grado solfimedrico che garantisce un’azione sulla pelle cheratoplastica, cheratolitica, anti-seborroica ed antimicrobica. Oltre a queste proprietà dell’acqua sulfurea che potremmo definire dirette sulla pelle, ci sono delle azioni indirette quali la stimolazione della circolazione, la stimolazione delle funzioni biologiche delle cellule, intervenendo sull’eliminazione dei radicali liberi. Bivongi è un'immersione completa, un viaggio dentro se stessi per recuperare il benessere perduto. Un itinerario, dunque, alla scoperta di una Calabria forse meno conosciuta, ma non per questo meno affascinante: un luogo antico che ci racconta di un’allegra stagione di sviluppo economico e sociale.
Elia Fiorenza

Stilo: Palazzo San Giovanni