di Elia Fiorenza
Pazzano (RC) - Si avvicina la notte dell’Assunta celebrata nell’antico Eremo-Santuario di Montestella, in Pazzano. Tutto merito del lodevole e certosino lavoro del rettore don Enzo Chiodo tra l’altro direttore dell’ufficio diocesano per i Beni Culturali ecclesiastici che negli ultimi anni ha fatto “resuscitare” il sacro luogo di culto mariano. Un eremo incastonato nelle rocce calcaree del Monte Stella, ove una statua della Vergine bianchissima in marmo splendido, in atteggiamento di preghiera invita a guardare al cielo, raccogliendo le gioie e le ansie di tanti pellegrini e turisti che invadono il sacro monte soprattutto nel mese di agosto. E’ un luogo che invita alla ricerca di sé e di Dio. In un tempo come il nostro di dispersione, nasce il bisogno di scoprire la verità nel silenzio dell’eremo, come gli antichi monaci. In occasione della festa, quest’anno la direzione del Santuario, sotto la guida del rettore don Enzo Chiodo, ha organizzato una mostra d’arte sacra di icone sulla vita e sulla teologia di S. Paolo, opera della comunità monastica diocesana “Sorelle di Gesù”, che sarà inaugurata da Mons. Femia, vicario generale della Diocesi il 6 agosto alle ore 19. Giorno 11 agosto e giorno 23 alle ore 18.00, le eremite faranno due conversazioni culturali sulla vita di S. Paolo attualizzata ai giorni nostri. Due importanti appuntamenti con suor Rossana Leone che affronterà il tema “La vocazione di San Paolo attraverso il linguaggio dell’icona” e con suor Renata Bozzetto che relazionerà su “Teologia della Croce e spiritualità paolina attraverso il linguaggio dell’icona”. La notte del 14 agosto alle ore 23,00 Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, vescovo della diocesi di Locri Gerace, benedirà la Via Lucis che arricchirà il santuario di 14 nuove opere d’arte, che inviteranno il pellegrino ed il turista a ricuperare il bisogno di luce per affrontare la via crucis di ogni uomo.“L’Assunzione di Maria in anima e corpo - spiega il rettore don Enzo Chiodo - è il dono prezioso del Signore Risorto. Essa anticipa ciò a cui gli uomini aspirano da sempre: la speranza dell’eternità quale forza per affrontare il presente. Inviterà tutti a riscoprire il valore della croce quale via privilegiata per arrivare alla gloria, la necessità di saper affrontare le difficoltà con la luce della risurrezione di Gesù. Solo in Lui è possibile passare dalle tenebre alla luce”.
La «Via lucis» spiegata dal Rettore don Enzo Chiodo
153. In tempi recenti, in varie regioni, si è venuto diffondendo un pio esercizio denominato Via lucis. In esso, a guisa di quanto avviene nella Via Crucis, i fedeli, percorrendo un cammino, considerano le varie apparizioni in cui Gesù – dalla Risurrezione all’Ascensione, in prospettiva della Parusia – manifestò la sua gloria ai discepoli in attesa dello Spirito promesso (cf. Gv 14, 26; 16, 13-15; Lc 24, 49), ne confortò la fede, portò a compimento gli insegnamenti sul Regno, definì ulteriormente la struttura sacramentale e gerarchica della Chiesa. Attraverso il pio esercizio della Via lucis, i fedeli ricordano l’evento centrale della fede – la Risurrezione di Cristo – e la loro condizione di discepoli che nel Battesimo, sacramento pasquale, sono passati dalle tenebre del peccato alla luce della grazia (cf. Col 1, 13; Ef 5, 8). Per secoli la Via Crucis ha mediato la partecipazione dei fedeli al primo momento dell’evento pasquale – la Passione – e ha contribuito a fissarne i contenuti nella coscienza del popolo. Analogamente, nel nostro tempo, la Via lucis, a condizione che si svolga con fedeltà al testo evangelico, può mediare efficacemente la comprensione vitale dei fedeli del secondo momento della Pasqua del Signore, la Risurrezione. La Via lucis può divenire altresì un’ottima pedagogia della fede, perché, come si dice, «per crucem ad lucem». Infatti con la metafora del cammino, la Via lucis conduce dalla constatazione della realtà del dolore, che nel disegno di Dio non costituisce l’approdo della vita, alla speranza del raggiungimento della vera meta dell’uomo: la liberazione, la gioia, la pace, che sono valori essenzialmente pasquali. La Via lucis, infine, in una società che spesso reca l’impronta della “cultura della morte”, con le sue espressioni di angoscia e di annientamento, è uno stimolo per instaurare una “cultura della vita”, una cultura cioè aperta alle attese della speranza e alle certezze della fede.
La «Via lucis» spiegata dal Rettore don Enzo Chiodo
153. In tempi recenti, in varie regioni, si è venuto diffondendo un pio esercizio denominato Via lucis. In esso, a guisa di quanto avviene nella Via Crucis, i fedeli, percorrendo un cammino, considerano le varie apparizioni in cui Gesù – dalla Risurrezione all’Ascensione, in prospettiva della Parusia – manifestò la sua gloria ai discepoli in attesa dello Spirito promesso (cf. Gv 14, 26; 16, 13-15; Lc 24, 49), ne confortò la fede, portò a compimento gli insegnamenti sul Regno, definì ulteriormente la struttura sacramentale e gerarchica della Chiesa. Attraverso il pio esercizio della Via lucis, i fedeli ricordano l’evento centrale della fede – la Risurrezione di Cristo – e la loro condizione di discepoli che nel Battesimo, sacramento pasquale, sono passati dalle tenebre del peccato alla luce della grazia (cf. Col 1, 13; Ef 5, 8). Per secoli la Via Crucis ha mediato la partecipazione dei fedeli al primo momento dell’evento pasquale – la Passione – e ha contribuito a fissarne i contenuti nella coscienza del popolo. Analogamente, nel nostro tempo, la Via lucis, a condizione che si svolga con fedeltà al testo evangelico, può mediare efficacemente la comprensione vitale dei fedeli del secondo momento della Pasqua del Signore, la Risurrezione. La Via lucis può divenire altresì un’ottima pedagogia della fede, perché, come si dice, «per crucem ad lucem». Infatti con la metafora del cammino, la Via lucis conduce dalla constatazione della realtà del dolore, che nel disegno di Dio non costituisce l’approdo della vita, alla speranza del raggiungimento della vera meta dell’uomo: la liberazione, la gioia, la pace, che sono valori essenzialmente pasquali. La Via lucis, infine, in una società che spesso reca l’impronta della “cultura della morte”, con le sue espressioni di angoscia e di annientamento, è uno stimolo per instaurare una “cultura della vita”, una cultura cioè aperta alle attese della speranza e alle certezze della fede.